Uomo della verità o grande depistatore. Perché il figlio di don Vito divide i magistrati

QUEL nome che ha divulgato sottovoce in giro per l’ Italia è finito in un atto, un verbale di interrogatorio. Adesso il nome l’ ha fatto anche ai giudici. Con quel suo modo di parlare molto siciliano, che è sempre fra il dire e il non dire, Massimo Ciancimino ha scaraventato Gianni De Gennaro nell’ intrigo della trattativa fra Stato e mafia. Chissà come sarà chiamato da oggi il rampollo di don Vito. L’ uomo della verità? Il grande depistatore? L’ esecutore materiale dei desideri del mafioso più mafioso di Palermo? Di certo è che da oggi, non importa se ha addossato il peso al padre che non c’ è più o se la colpa se la prenderà tutta lui, Massimo Ciancimino ha oltrepassato un confine dal quale difficilmente potrà tornare indietro. Innanzitutto per il nome che ha deciso di rivelare. E poi perché, su quel nome, tanto per cambiare la magistratura siciliana si sta già spaccando. Nella Ciancimino story siamo alla resa dei conti. Dopo molti mesi di esitazioni e di retromarce sull’ identità del misteriosissimo «signor Franco» – l’ uomo che per almeno tre decenni aveva protetto don Vito – Massimo Ciancimino ha raccontato che l’ ex capo della polizia italiana e attuale direttore del dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, sarebbe «molto vicino» o comunque «dell’ ambiente» di quel personaggio degli apparati che ha tramato con Vito Cianciminoe con i Corleonesi. Un tira e molla, con ammiccamenti e qualche paura, che ha portato “Massimuccio” a svelare il nome più stupefacente e farlo scivolare nel cuore dei negoziati più inconfessabili a cavallo fra le stragi del 1992. Qualcuno – alla procura di Palermo – vorrebbe andare a fondo e magari saperne di più, qualcun altro- alla procura di Caltanissetta- invece sta pensando di incriminare il piccolo Ciancimino per calunnia. Sono i primi effetti reali, dopoi malumori degli ultimi mesi, dell’ ingorgo giudiziario che ha creato il «teste» che esattamente un anno fa aveva consegnato agli inquirenti il famigerato «papello», la prova principe dell’ abbraccio fra Totò Riinae ancora sconosciuti uomini dello Stato. Il coinvolgimento in questa fossa di patti e di ricatti incrociati del più famoso poliziotto italiano – fedele al fianco di Falcone quando tanti altri non lo sono stati negli anni del maxi processo, ai vertici investigativi e della sicurezza nazionale con nomina praticamente «a vita» dopo i successi contro Cosa Nostra – è destinato a ribaltare in un senso o nell’ altro non soltanto le precedenti dichiarazioni di Ciancimino ma anche tutta la ricostruzione fatta fino ad ora sulla trattativa. Se quella di Ciancimino figlio o di Ciancimino padre è la verità (ed è veramente molto complicato far coincidere il profilo di Gianni De Gennaro con le criminali scorribande attribuite al famigerato «signor Franco», un agente dei servizi contemporaneamente a disposizione di Stato e mafia), allora bisognerà rivedere un’ altra volta ancora cosa è accaduto in Sicilia e a Roma prima dopo e durante le stragi del 1992. Se quella di Ciancimino figlio invece è solo un tentativo su mandato per intossicare e avvelenare (e c’ è chi lo sospetta), allora bisognerà correggere comunque le ultime acquisizioni giudiziarie su patti veri e presunti stipulati all’ ombra dei massacri. In ogni caso le sue confessioni, anche mettendoci la tara su certe «rivelazioni» e soprattutto sui pensieri del padre riportati e forse frettolosamente presi per buoni (don Vito di strategie mafiose se ne intendeva assai), rilanciano comunque dubbi, domande: sono stati soltanto ufficiali dei carabinieri dei reparti speciali (il generale Mario Mori) o spioni (come Lorenzo Narracci)o alti funzionari o addirittura ministri della Repubblica a dialogare con i Corleonesi nell’ infuocata stagione delle stragi? E la polizia di Stato?, non si è mai accorta di nulla in quei mesi e in quegli anni, non ha mai intercettato e nemmeno fiutato le operazioni che erano in corso in Italia per fermare le bombe? Il resto della trama per ora è affidata alle sole parole di Massimo Ciancimino, che ultimamente ha reso molto nervosi i rapporti fra la Procura di Caltanissetta – quella che investiga sulle stragi – e quella di Palermo – che investiga sulla trattativa – proprio intorno al nome di De Gennaro.È scontroo quasi. Cominciato proprio intorno alla caccia del capo degli 007 rimasto in contatto con don Vito per un’ eternità. Cominciato con le ammissioni e le smentite continue di Massimo, con i suoi riconoscimenti poi disconosciuti del «signor Franco», con la pista di numeri telefonici risultati inesistenti. E, alla fine, con la consegna di un foglio con dentro 12 nomi e una freccia accanto a un diplomatico israeliano puntata su un tredicesimo nome, il più grosso di tutti: Gianni De Gennaro. Il foglio, giusto per ricordarlo, apparteneva a qualcuno che non è mai stato al di sopra di ogni sospetto: sempre lui, Vito Ciancimino. Gira e rigira, don Vito forse trama anche da morto.

Attilio Bolzoni per La Repubblica del 4 dicembre 2010